Cronaca da Barcellona

Notizie dalla Catalunya, dopo dieci giorni di permanenza

Siamo arrivati aspettandoci di trovare disordini per le strade e forze di polizia schierate a ogni angolo, tanto che avevamo pensato di rinunciare al viaggio a ridosso della partenza.

Invece qua è tutto tranquillissimo, anche troppo (i turisti scarseggiano decisamente)

Il massimo che vedi in giro della protesta indipendentista sono volantini attaccati ai pali, e fiocchi gialli, indossati, disegnati sui muri o per terra, che inneggiano alla liberazione dei cosiddetti prigionieri politici

Anche di Polizia in giro ce n’è poca, praticamente solo Mossos, la polizia Catalana, che fanno il solito servizio d’ordine in corrispondenza di palazzi istituzionali e la Guardia Urbana che presidia normalmente le zone turistiche.

Nessuna traccia della Polizia Nazionale e della Guardia Civile, mobilitata in gran numero nella regione in occasione del referendum del 1 ottobre e in parte ancora presente in loco.

Per il resto, la vita scorre apparentemente come al solito.

L’altro giorno, all’ora di pranzo, ero in un locale con la TV sintonizzata sul telegiornale che dava la notizia della messa in libertà su cauzione di Carmen Forcadell, presidente del Parlamento Catalano; mi sarei aspettato un commento ad alta voce di qualche avventore, visto che la cauzione è stata concessa solo dopo che la Forcadell ha dichiarato che l’applicazione del 155, l’articolo della costituzione spagnola che permette la revoca di alcune competenze alle comunità autonome, era giusta e legittima, praticamente un’abiura, visto che in passato aveva dichiarato “non faremo un passo indietro”.

E invece niente, tutti a guardare il proprio piatto e zitti.

Se anche non vedi manifestazioni palesi, la tensione la senti, la gente in pubblico evita di esprimersi, perché è un argomento ad alta tensione, dove posizioni fortemente contrapposte porterebbero facilmente allo scontro quanto meno verbale; amici di qua mi dicono che ci sono famiglie letteralmente spaccate a metà, in cui genitori non parlano coi figli, o amicizie di lunga data che su questo argomento si sono divise.

Straniante è stato, domenica, mentre eravamo in un bar sulla spiaggia a goderci il bel tempo con una cerveza in mano, sentire tre bambini che, probabilmente dopo aver partecipato coi genitori a una manifestazione nei giorni precedenti, scandivano ad alta voce “via – le forze – di occu-pa-zione”, scena a cui alcuni hanno sorriso, alcuni mugugnato, mentre il cameriere che stava servendo il tavolo di fianco al nostro ha liquidato con un gesto fra l’imbarazzato e l’infastidito, come per dire “passiamo ad altro, cosa desiderate?”

Martedì doveva esserci lo sciopero generale, indetto formalmente come protesta per le difficoltà economiche ma in realtà per dimostrare contro l’azione giudiziale del governo centrale; l’adesione è stata minima, i mezzi pubblici giravano normalmente, le scuole e gli uffici pubblici erano aperti, i negozi avevano le serrande alzate. L’unico vero problema sono stati i vari picchetti che hanno bloccato la circolazione stradale in alcuni punti della città e sulle grandi arterie che la circondano, e della rete ferroviaria (si parla di 150.000 pendolari rimasti bloccati). Molto criticata l’inattività dei Mossos, che hanno lasciato la stazione dell’alta velocità di Girona e di Barcellona in balia dei manifestanti, mentre sulle autostrade bloccate i picchetti avevano in prima linea gruppi di bambini.

Ieri pomeriggio c’è stata la manifestazione organizzata dall’ANC, una delle due associazioni culturali, vere “macchine da guerra” della propaganda separatista, che si è tenuta proprio nella strada dove alloggiamo.

Mentre tornavo a casa ho osservato la gente che si dirigeva al corteo; mi aspettavo tensione, rabbia, nervosismo. Invece ho visto una moltitudine di persone felici, sorridenti, che indossavano la loro bandiera, l’estelada, a mo’ di mantello, che andavano a manifestare pacificamente la loro idea politica.

L’immagine più bella è stata quella di una ragazzina coi capelli colorati di rosa che stringeva a sé il nonno per farsi un selfie avvolti nella bandiera indipendentista.

Arrivato a casa, mi sono messo sul balcone a osservare la strada, Carrer de la Marina.

È una strada a 6 corsie, con ampi marciapiedi, lunga oltre 3 chilometri (va dalla Sagrada Familia giù fino al mare).

Siamo rientrati a casa quando il corteo avrebbe dovuto prendere il via, ma la partecipazione è stata così ampia (la Guardia Urbana parla di 750.000 persone) che praticamente non s’è mosso nessuno, se non la testa del corteo, formata da personaggi politici e i parenti dei separatisti in carcere, percorrendo i 500 metri che portavano al palco.

La foto scattata di sera, con la gente che teneva i cellulari accesi, può dare un’idea della moltitudine presente.

Un tratto di Carrer de la Marina vista dall’alto

Tutto si è svolto con tranquillità, con canti, slogan, e fischi all’indirizzo degli elicotteri della polizia che hanno costantemente sorvolato la manifestazione.

A un certo punto sono passate sopra il corteo, con un passamano spontaneo, due bandieroni 10×20 metri, raffiguranti i volti dei due Jordi, Sánchez y Cuixart, leader di ANC e Omnium Cultural (le suddette associazioni culturali). Scena di grande effetto, soprattutto vista in TV, ripresa dall’alto.

Questo mi ha fatto riflettere sulla grande capacità di chi organizza queste cose di saper “coreografare” questa massa di persone, di spostarla (i giornali parlano di più di 900 pullman venuti da tutta la Catalunya), di dotarla di cartelli, magliette (e la domanda sorge spontanea: da dove vengono tutti i soldi necessari a fare queste cose? Per dire, anche la cauzione della Forcadell è stata pagata con un assegno dell’ANC).

La sensazione che ho avuto è quella di un sentimento sincero (per quanto a me incomprensibile), gestito ad arte da chi ha le leve del potere, senza però avere un vero piano politico (si susseguono in questi giorni le dichiarazioni di parlamentari separatisti che hanno detto “ci aspettavamo che fosse tutto più semplice”, “non eravamo pronti a gestire le conseguenze della votazione del 1 ottobre”, “pensavamo che l’ampio consenso popolare avrebbe portato a compimento il Processo”) o quanto meno che l’indipendenza catalana non sia il vero fine; i malevoli dicono che la corruzione non sia solo appannaggio dei partiti madrileni, (il Partito Popolare viene detto “il partito (della tangente) del 3%”), ma anche di tutta la classe politica catalana (ricordo che l’anno prossimo decade il segreto bancario ad Andorra) e che tutto questo sia solo una cortina fumogena per distrarre l’opinione pubblica.

All’orizzonte ci sono le elezioni del 21 dicembre, indette strategicamente da Madrid nel più breve tempo possibile con l’applicazione del 155.

Sulla formazione delle liste si sta scatenando una lotta politica aspra, con tutta una regolazione di conti interna fra i componenti della passata lista unica indipendentista, che a questa consultazione si presenterà con liste separate per ogni partito, Podemos che scomunica il leader di Podem, la sua istanza catalana, e il partito “Catalunya en comú ” della sindaca di Barcellona, Ada Colau, che si separa dai socialisti catalani mettendo a rischio l’amministrazione della città, mentre i partiti “costituzionalisti” stanno cercando di coalizzarsi in liste unitarie per evitare di disperdere voti.

Tutto questo dopo che tutti i grossi gruppi bancari, assieme a migliaia di aziende grandi e piccole, hanno trasferito la propria sede sociale al di fuori della Catalunya, tanti correntisti, inclusi parecchi indipendentisti, hanno trasferito i risparmi in istituiti di credito al di là dei confini catalani, la candidatura di Barcellona come sede dell’Agenzia Europea del Farmaco, in partenza da Londra per la brexit, è in serio pericolo e la fiera Mobile World Congress, un evento da oltre 100.000 presenze l’anno scorso, minaccia di cambiare sede nel 2019 se lo scenario politico non dovesse tornare più stabile.

L’esito delle votazioni è incerto, alcuni sondaggi prevedono uno scenario simile a quello dell’ultima votazione, con i partiti separatisti che hanno la maggioranza dei seggi ma non dei votanti (c’è un meccanismo elettorale simile alle presidenziali americane, che ha decretato il successo di Trump nonostante la maggioranza degli americani abbia votato per la Clinton).

L’altro giorno Puigdemont da Bruxelles, dove sta tentando di ottenere quel consenso internazionale che è sempre mancato, ha dichiarato che è necessaria la maggioranza dei seggi e dei votanti per portare a termine il processo separatista; verrebbe da pensare finalmente a un po’ di buon senso, se non fosse per le innumerevoli dimostrazioni di volubilità politica di cui si è fatto protagonista in passato.

Resta il fatto che l’inizio della campagna elettorale vede un paese fortemente diviso e con l’economia compromessa, e anche dovessero vincere i partiti contrari alla indipendenza, ci vorranno comunque anni per recuperare la situazione, soprattutto dal punto di vista sociale


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